Dionigi pseudo-Areopagita è lo
pseudonimo utilizzato da un autore anonimo vissuto probabilmente nel sesto
secolo d.C. in Siria, il cui corpus, definito corpus dionisiano, consta di dieci
Epistole e quattro trattati: Sui nomi divini, Teologia mistica, Gerarchia ecclesiastica
e Gerarchia celeste. Il pensiero dello pseudo-Dionigi, fortemente
influenzato dal neoplatonismo di Proclo e dal Cristianesimo, cerca di accordare
la visione pagana neoplatonica con quella cristiana. Il risultato di tale
sforzo sfocia nella cosiddetta teologia negativa, o apofatica, vale a dire una enunciazione del divino basata sull’elencazione di ciò che non è, anziché ciò
che è. Si tenga presente che questa modalità di parlare del divino non vuole
essere una privazione delle qualità che seguono la negazione, quanto piuttosto
una loro esponenziale esaltazione, a sottolineare cioè l’assoluta trascendenza
di Dio rispetto alla conoscenza umana e alle qualità che si riscontrano nelle
creature. Dio è, infatti, yper,
ovvero totalmente oltre. Al riguardo è corretto parlare di teologia superlativa, la quale
è insieme catafatica – del divino possiamo predicare tutte le qualità positive
che esperiamo nel creato - e apofatica
– le qualità che si predicano del divino superano quelle che riguardano la
particolarità in cui le conosciamo: in questo senso, di Dio non si dirà essere
Bene, ma super Bene, in quanto oltre la nostra comune nozione di bene. Stando
così le cose, il divino è sia anonimo, cioè privo di denominazioni (teologia
apofatica), sia omnicomprensivo, cioè predicabile di tutte le perfezioni delle
creature che da lui emanano: si può descriverlo, pertanto, come Uno, Essere,
Bene, Luce, Bello, Amore, Pace, etc. sempre tenendo presente che ognuna di
queste attribuzioni è soltanto un accenno all’essenza divina, poiché la
conoscenza che noi abbiamo di esse è legata alla particolarità e non al
principio che ad esse compete. E' chiaro, dunque, che l'unica vera esperienza divina che l'uomo può esperire è l'estasi, ovvero l'abbandono di ogni razionalità e determinazione per ricongiungersi col principio divino donde la realtà tutta è scaturita (teologia mistica).
In proposito è interessante notare l'osservazione di Giovanni Eriugena, il quale, basandosi sul corpus dionisiano, afferma che di Dio si può parlare tanto in modo apofatico quanto in modo catafatico. La contraddizione che trae origine dalle due modalità opposte - l'una positiva, l'altra negativa - di riferirsi a Dio costituisce, anzi, la via regia per contemplare la profonda unità dei predicati contrari, che culmina nella mistica. In tutto questo si può scorgere la dottrina dei contrari formulata da Eraclito (VI - V secolo a.C.), nonché una qualche affinità alla concezione del divino ch'egli aveva: «La divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame».
Per quanto attiene all’universo, Dionigi
immagina un’organizzazione gerarchica in cui ogni grado permette la
trasmissione dell’essere e dell’energia spirituale verso i livelli inferiori.
Il primo grado, la gerarchia celeste, articolata in gerarchie e sottogerarchie,
riceve l’essere e le energia spirituali direttamente dalla Trinità, trasferendola
poi, attraverso gli angeli, alla gerarchia ecclesiastica, al cui vertice vi è
il vescovo, quindi i presbiteri ed i diaconi, ed infine i fedeli, che ricevono
le illuminazioni durante la celebrazione dei sacramenti. Il modello di
mediazioni che Dionigi consegna ai posteri, si rivelerà fondamentale per la l’angelologia
cristiana, e sarà ripreso anche dal poeta fiorentino Dante Alighieri, che nella
Divina Commedia, in uno degli ultimi canti del Paradiso, cita esplicitamente
Dionigi: “E Dionisio con tanto disio/a contemplar questi ordini si mise/che li
nomò e distinse com'io” (XXVIII, vv. 127-132).
Dante e Beatrice innanzi all'Empireo |
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