venerdì 26 agosto 2016

Commento al Proemio di Zarathustra (§5-10)

D'un tratto il giubilo della folla si arrestò bruscamente: il funambolo si era messo all'opera; egli camminava su una fune tesa fra due torri al di sopra del mercato. Giunto a metà percorso, un altro funambolo iniziò ad incalzarlo velocemente, invitandolo a sbrigarsi, affinché non lo raggiunga. Quando il secondo funambolo fu a un passo dal primo, «cacciò un urlo da indemoniato» e con un gran balzo lo superò; il primo, «vedendosi superato dal rivale», perde l'equilibrio e cade a terra, ai piedi di Zarathustra, mentre la folla si esagitava in cerca di una via di fuga. Ripresa la coscienza, dopo aver trovato conforto presso le parole di Zarathustra - che lo invitavano a non temere alcunché -, il funambolo muore, e Zarathustra si offre di inumarlo [paragrafo 6]. 

Quando sulla piazza sopraggiunse l'oscurità della sera, la folla si dissipò, e Zarathustra rimase solo accanto al morto, tutto avvolto nei suoi pensieri. Giunta che fu la notte, il «solitario» s'avvide di quanto instabile sia l'esistenza umana, giacché basta un buffone per comprometterla irrimediabilmente. Il senso dell'essere umano è il superuomo, ma questo gli uomini ancora non potevano capirlo, e tantomeno intendevano le parole di Zarathustra, che ai loro occhi appariva «ancora qualcosa di mezzo tra un pagliaccio e un cadavere». Fattosi carico del cadavere sulle spalle, Zarathustra si incamminò alla volta di un luogo in cui potesse seppellirlo personalmente, come promessogli [paragrafo 7].

Dopo poco che iniziò a camminare, il buffone della torre si accostò a Zarathustra e cercò di convincerlo a lasciare la città, poiché egli, «nemico e disprezzatore» e «pericolo della moltitudine», lì non era gradito. Ma Zarathustra, senza dar troppa importanza a quelle parole, proseguì sulla sua strada, fin quando, giunto alla porta della città, non incontrò due becchini, che presero a schernirlo. Ancora una volta l'eremita non si curò dei suoi spregiatori. Giunto che fu nei presso dei boschi, all'udire dell'ulular dei lupi affamati, a Zaratustra pure venne fame, ed allora decise di recarsi presso una casa nelle vicinanze, dove un vecchio gli diede da bere e da mangiare. Lasciata la casa, il profeta proseguì per la sua strada, fin quando non fu nel «profondo di una foresta», dove, nella cavità di un albero, al riparo dalle bestie, non vi depose il cadavere del funambolo. Infine, si distese sul muschio e si addormentò [paragrafo 8].

Al suo risveglio, Zarathustra ammirò meravigliato la natura, per poi levarsi improvvisamente. Egli «aveva scorto una verità nuova»: la necessità di accompagnarsi ad uomini vivi che lo seguano perché vogliono seguire se stessi, non perché incapaci d'andare altrove, qual era il cadavere che aveva portato sulle spalle durante la notte. Il compito che Zarathustra si ripropose non fu più quello di convincere la folla, bensì quello di separare alcuni elementi da essa affinché lo seguano, e tuttavia, non perché è Zarathustra a volerlo, ma perché essi stessi lo desiderano: «Non diventi Zarathustra pastore e cane di un gregge! Per stornare molti dal gregge - per questo sono venuto» [paragrafo 9].

Così, dopo aver ringraziato il cadavere del funambolo per essere stato il suo primo compagno di viaggio, Zarathustra udì lo strido di un'aquila, la quale portava intorno al collo un serpente suo amico. Alla loro visione il cuore di Zarathustra si rallegrò. E così iniziò il suo tramonto [paragrafo 10].
Paragrafo 6
La corda tesa fra le due torri rappresenta, come detto addietro, l'uomo. Il funambolo che per primo si accinge ad arrivare dall'altra parte, ben presto si dimostra incapace, e viene superato dal secondo che, col suo passo veloce e sicuro, ne causa la caduta e rappresenta, dunque, colui che ha la meglio su chi procede vacillando e con fare incerto. Alla sua caduta, la folla in preda al panico si dimena in cerca di una via di fuga, mentre Zarathustra, immoto, assiste alla scena, fin quando non interloquisce col funambolo, dopo che questi riprese coscienza. Zarathustra dunque lo rassicura circa l'inferno e il diavolo cui credeva il funambolo, poiché «non esiste il diavolo e non esiste l'inferno». Ancora una volta, Zarathustra si mostra benevolo nei confronti degli uomini, in quanto si offre di seppellire il funambolo, senza disprezzarlo per il pericolo che ha corso col suo mestiere.

Degne di nota sono le ultime parole del funambolo: «Non sono molto più di un animale a cui è stato insegnato a ballare, a forza di bastonate e di bocconi striminziti». L'uomo moderno, non a caso, è esattamente questo: un animale educato da una morale trascendente che de facto è una costruzione artificiale, atta a rendere meno cruenta l'esistenza degli uomini. Una vibrata ora qua ora là per metterlo in guardia circa le conseguenze cui va incontro allorché si macchi d'una qualche colpa (le «bastonate»); e all'occorrenza l'inedia per mondare il corpo dai suoi istinti di gola («bocconi striminziti»).  In breve: negare la vita in ogni suo aspetto imponendovi il controllo razionale attraverso l'affermazione della limitatezza propria dello spirito apollineo, a sfavore, naturalmente, dello spirito dionisiaco.

Paragrafo 7
Zarathustra, dopo essersi ripreso dai suoi pensieri, si rende conto di quanto debole ed instabile sia l'esistenza umana, giacché un nonnulla basta a turbarla e farla venir meno. Ancora una volta, Zarathustra si prefigge il compito di insegnare agli uomini il superuomo, consapevole, tuttavia, che essi non sono ancora pronti ad accoglierlo.

Paragrafo 8
Le persone, come gli anticipò il vegliardo nella foresta, diffidano di Zarathustra e lo giudicano «nemico» e «pericolo della moltitudine». Proprio per questo egli viene sbeffeggiato e infastidito prima dal buffone e poi dai becchini.
 
L'attacco improvviso di fame che Zarathustra ebbe nel bosco può, a mio avviso, intendersi nel seguente modo: stando assieme alla folla del mercato egli ha obliato il suo istinto di sopravvivenza, tanto che al vecchio che lo ha ospitato nella casa confida d'essersene dimenticato durante il giorno. Dice poi: «Oggi per tutto il giorno non mi è venuta [la fame]: dove se ne stava dunque?».

C'è da chiedersi infine chi sia il vecchio che offre ristoro a Zarathustra. Ebbene, egli, according to my opinion, è un uomo che si lascia facilmente circuire e persuadere dalla potenza etica che imprime il pensiero dell'anima e delle virtù. Ad avvalorare questa ipotesi c'è il fatto che non appena Zarathustra gli riferisce che secondo la saggezza chi sfama gli affamati fa del bene alla sua anima, il vecchio subito portò lui da mangiare e da bere: «[...] andò dentro e tornò subito dopo offrendo a Zarathustra pane e vino». Che si tratti di un cristiano è probabile: poiché non ritengo essere una casualità dettata da esigenze narrative quella di citare proprio il pane ed il vino, simboli universali del corpo e il sangue di Cristo, per di più direttamente collegati alla cura dell'anima: “Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà la vita eterna” (Gv 6, 54).

Infine, il lume che porta in mano il vecchio, potrebbe alludere al credo cristiano con i quali i fedeli tentano di illuminare il bosco notturno e dunque il mondo nel quale vivono.

Paragrafi 9-10
Contemplando la natura al suo risveglio, in Zarathustra si accese una nuova consapevolezza: egli non doveva essere il pastore di un gregge, non aveva il compito di educare la folla, bensì quello di far separare alcuni individui da essa perché lo seguano mossi dal loro stesso volere. D'altro canto, essere educatore della folla avrebbe portato Zarathustra ad essere alla pari dei buoni e i giustti e i seguaci della fede verace, che, sebbene con propositi diversi, cercavano comunque di plagiare il gregge portandolo a credere ad una verità comune ed odiando chiunque disprezzi e comprometta i loro valori. 

Proprio perché incapace di creare nuovi valori, Zarathustra decise di non parlare più alla folla: poiché essa non è in grado di scriverne o apprezzarne di nuovi. «Uomini che creino con lui cerca chi crea, uomini che scrivano nuovi valori su nuove tavole».  

Pur ignorando che gli animali che Zarathustra vede nel cielo, l'aquila (la superbia) e il serpente (l'astuzia), simboleggino la volontà di potenza e l'eterno ritorno, si può arguire un fatto pur importante dalla volontà di Zarathustra di far di essi la sua guida fra le «vie pericolose» verso le quali si incammina: e cioé che i suoi mentori non sono uomini ma bestie, giacché «ho trovato più pericoli tra gli uomini che tra le bestie».



(Ultimo aggiornamento: 28/08/2016)

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