venerdì 26 agosto 2016

Commento al Proemio di Zarathustra (§1-5)

Zarathustra è un'eremita che vive sui monti da quando aveva trent'anni. Dopo aver goduto della solitudine e della compagnia del solo suo spirito, il cuore di Zarathustra si trasformò, sicché nel suo quarantesimo anno di vita si decise a far ritorno fra gli uomini della sua patria, per donar loro l'abbondanza della sua saggezza, di cui egli divenne satollo. Iniziò così il tramonto di Zarathustra [paragrafo 1].

Giunto nei boschi della montagna, Zarathustra incontrò un vegliardo, che, dopo averlo riconosciuto, prese ad interrogarlo circa le ragioni per le quali Zarathustra intendeva discendere tra gli uomini dopo essersene allontanato. Il vegliardo, come anche Zarathustra, è un eremita, che vive nella solitudine perché stufo degli uomini e della loro imperfezione. Non lasciandosi persuadere dalle parole del vecchio, Zarathustra prosegue lungo il suo cammino, mentre ride del vegliardo, e questi fa altrettanto di Zarathustra. [paragrafo 2].

Allorché Zarathustra giunse presso la città che sorgeva ai margini della foresta, vi trovò una folla radunata nella piazza che attendeva l'esibizione di un funambolo. Allora Zarathustra, rivolgendosi agli spettatori, disse che avrebbe insegnato il superuomo, poiché l'uomo è divenuto qualcosa che deve essere superato. La terra, e null'altro, sarà il senso del superuomo; pertanto, non ci sarà più bisogno di credere a speranze ultraterrene, dai quali bisogna diffidare: essi sono spregiatori della vita, avvelenati, moribondi, dei quali la terra è stanca. Dio è morto, e con lui tutti i suoi fedeli. Gli unici sacrilegi che ora si possano commettere sono disprezzare la terra e fare dell'ultraterreno qualcosa di superiore ad essa.   

La folla, dopo aver scambiato Zarathustra per il funambolo, rise di lui, e chiese che iniziasse il suo spettacolo. Il funambolo, pensando che quelle parole fossero rivolte a lui, iniziò il suo lavoro [paragrafo 3].

A quella reazione Zarathustra, dopo essersi meravigliato per l'incomprensione della folla, disse: «L'uomo è una corda tesa fra l'animale e il superuomo. Un pericoloso andare di là, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso rabbrividire e fermarsi». Zarathustra ama gli uomini: perché essi inconsapevolmente vogliono la loro fine; e con ciò la venuta del superuomo. [paragrafo 4].

Ma la folla, a quelle ulteriori parole, rideva ancora di Zarathustra. Allora egli decise di attaccare ciò di cui andavano più orgogliosi, la cultura, parlando loro dell'essere più spregevole: l'ultimo uomo. Così, Zarathustra annuncia all'uditorio che è giunto il momento che l'uomo si assegni una meta e pianti il seme della sua ultima speranza, poiché il terreno è ancora fertile per espletare un simile compito; ma un giorno non lo sarà più, ed allora non potrà più crescervi nulla. Questo tempo è quello dell'ultimo uomo, colui che non sa più disprezzare neppure se stesso e che è divenuto mediocre per via della cultura di cui va fiero. Egli dice di aver inventato la felicità, ha imparato a controllarsi e a non desiderare nessuno fra i due capi della fune. Questi litiga e lavora ancora, ma è ben accorto a controllare l'uno e l'altro per evitare che nuocciano. Zarathustra, fattosi triste perché la folla chiedeva di diventare quest'ultimo uomo, si rese conto d'aver vissuto per troppo tempo sulle montagne, e per questo ora farsi comprendere dagli uomini era pressocché impossibile («non sono la bocca per queste orecchie [...] ora parlo a loro come ai caprai») [paragrafo 5].



Paragrafo 1
Lontano dalla civiltà del suo tempo e potendo godere della sola compagnia che offre la natura, Zarathustra, dopo un isolamento di dieci anni comprende che la sua saggezza è cresciuta abbondantemente, tanto che ora desidererebbe qualcuno che ne beneficiasse in parte.

Zarathustra, rivolgendosi al sole, ebbe a notare come la felicità del «grande astro» per il suo fulgore non potrebbe sussistere senza qualcuno al quale possa risplendere e che possa accogliere la sua abbondanza, privandolo del suo superfluo, del surplus. Zarathustra desidera, come il sole, tramontare, e ridiventare un uomo. 

Paragrafo 2
Il vecchio che incontra Zarathustra nel bosco rappresenta colui che ha deciso di vivere nella solitudine per il disgusto provato verso la terra e gli uomini dormienti e imperfetti. Così il vegliardo loda ora Iddio, e lo fregia del suo amore, ché se fosse rivolto agli uomini lo ucciderebbe.

Paragrafo 3
Zarathustra annuncia al grande pubblico il superuomo e la morte di Dio. Il senso del superuomo, poiché Dio è morto, non è più l'ultraterreno, ma il terreno, al quale egli deve far unicamente riferimento. Il più grande improperio che si possa nominare non è più quello contro Dio, bensì contro la terra, allorché venga sminuita in favore di realtà imperscrutabili. L'anima platonica desiderosa di liberarsi del corpo voleva la distruzione dell'uomo, giacché tentava di limitare le sue pulsioni innate, e per ciò il senso della terra, cui il superuomo appartiene. Soltanto chi fa della terra l'unico senso della sua esistenza può vivere fra gli uomini che disprezzano il corpo senza venirne influenzato. Costui è il mare che accoglie il fiume lutulento senza divenire impuro. Gli uomini, stanchi finanche della loro felicità, della loro ragione, della loro virtù e, in generale, di ogni cosa li riguardi, abbisognano del superuomo. 

Paragrafo 4
La grandezza dell'uomo risiede nel fatto che egli non è un fine, ma un punto di passaggio per giungere a quel fine, che è il superuomo. Questo è l'unico elemento che dell'uomo si può amare: «egli è un passaggio e un trapasso». Proprio per questa sua proprietà quando Zarathustra si trovava nei boschi disse al vegliardo di amare gli uomini.

Paragrafo 5
La cultura ha fatto dell'uomo moderno l'essere più spregevole: l'uomo moderno è l'ultimo uomo. Esso, dicendo di aver inventato la felicità, è divenuto caritatevole (compassione: vedi Schopenhauer), ha diffidato del suo senso originale (la terra: «le contrade in cui era duro vivere») e ha introdotto false credenze per rendere la realtà meno dura («un po' di veleno di tanto in tanto: ciò fa fare sogni piacevoli»), fin quando esse hanno creato una realtà talmente distante da quella originale da rendere impossibile la vita dell'uomo in essa («e molto veleno alla fine, per un piacevole morire»). La morigeratezza che l'anima esige nel vivere ha reso l'uomo mediocre ed incapace di raggiungere una o l'altra meta: egli, dunque, rimane nel mezzo della fune («Non si diventa poveri e ricchi. [...] Chi vuole ancora governare? Chi ancora obbedire?»). Ciò causa un unico grande tipo d'uomo - l'ultimo uomo, appunto - che non è in grado né di obbedire né di governare: «Nessun pastore e un solo gregge!». Una società in cui «tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali» e «chi sente diversamente se ne va da sé al manicomio». 



(Ultimo aggiornamento: 27/08/2016)

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